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  • Immagine del redattoreDCZ Penalisti Associati

L'impresa è una "organizzazione" ai fini del delitto di traffico illecito di rifiuti.

La Suprema Corte, con la sentenza del 20 ottobre 2022 n. 39759, ha espresso alcuni arresti in materia ambientale di dicuro interesse per il mondo imprenditoriale. Nel caso in esame una ditta, incaricata del trasporto di rifiuti, invece di portarli alla destinazione dichiarata li avrebbe illecitamente sversati altrove, cagionando perciò l'inquinamento del sito di abbandono.

1. Il traffico illecito di rifiuti.

Il reato, oggi previsto dall’articolo 452 quaterdecies del codice penale, consiste nel fatto di chi “(…) al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.”

La norma, per come è formulata, sembrerebbe esigere che le attività continuative di cessione, trasporto, ricezione, esportazione o importazione dei rifiuti debbano costituire la finalità, l’obiettivo per il quale si è costituita l’organizzazione. Non è insomma sufficiente che i rifiuti siano provenienti da un’attività organizzata per altre finalità. La norma, in altre parole, potrebbe essere interpretata nel senso dell'esistenza d un rapporto causa-effetto tra organizzazione e traffico di rifiuti.

Ma la Suprema Corte è di avviso diverso.

Richiamandosi a propri precedenti sul punto, gli Ermellini hanno osservato che già nella definizione di “impresa” è insito quello di attività organizzata che, come abbiamo visto, costituisce la caratteristica centrale del reato contestato. È perciò irrilevante, proseguono i Supremi Giudici, quale sia l'oggetto sociale dell'impresa. Il fatto che i rifiuti provengano da un'attività imprenditoriale, ossia organizzata, è sufficiente per l'integrazione del delitto di traffico illecito.

Così interpretata, la norma incriminatrice assume un campo di applicazione esteso a tutte le illecite gestioni dei rifiuti provenienti da attività d’impresa, quale che sia il loro oggetto sociale. Non solo, pertanto, alle imprese di trasporto o recupero o smaltimento dei rifiuti (come potrebbe dedursi dalla diversa esegesi della disposizione di legge), ma indistintamente a tutte.

2. Il delitto di Inquinamento ambientale.

Un secondo tema affrontato nella sentenza in esame attiene all'accertamento de reato ambientale.

Introdotto nel 2015, il delitto di inquinamento ambientale previsto dall’articolo 452 bis del codice penale consiste nel fatto di chi “abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.”

La compromissione deve essere “significativa” e “misurabile”. Quand’è “significativa” la compromissione del sito inquinato? Il delitto può essere commesso inquinando un sito già compromesso dal punto di vista ambientale?

Nel caso di specie, la sentenza ha affermato che anche aggravare una compromissione ambientale già preesistente è condotta idonea ad integrare il reato. L’affermazione è, in linea di principio corretta perché il fatto un sito sia già inquinato non autorizza ulteriori condotte che lo deteriorano ulteriormente.

Ma è indubbiamente più complesso affermare che la compromissione di un sito già inquinato sia “significativa”. Ben potrebbe darsi che la nuova attività inquinante si stratifichi sull’esistente senza incidere in maniera rilevante sulla qualità delle acque, dell’aria o del suolo oppure, ancora, dell’ecosistema.

Non è detto, in altre parole, che una certa condotta produca una contaminazione rilevante dal punto di vista penale, laddove s'inserisca in un contesto ambientale già compromesso.

In base a quali cirteri si può accertare il deterioramento del sito?

È necessario indagare sugli effetti causali della nuova condotta sullo stato ex ante del sito inquinato per stabilire se ne abbia determinato una significativa compromissione. E ciò non può che avvenire mediante una “misurazione”.

In più occasioni la Corte di Cassazione ha però affermto (Corte Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2018, n. 50018), che l’accertamento di un concreto pregiudizio al bene tutelato non richiede necessariamente la prova della contaminazione del sito nel senso indicato in particolare dalla lett. e) dell’art. 240 D.Lgs. 152/2006 (ovvero il superamento delle CSR) che dunque non costituisce aspetto dirimente ai fini della configurabilità della fattispecie. Ma non ha spiegato in base a quali criteri procedere alla “misurazione”, lasciando aperti molti problemi interpretativi.

Nella sentenza in commento si legge che:

Con la espressione "misurabile" il legislatore ha, (…), inteso solamente indicare la astratta possibilità di rilevare in termini quantitativi l'esistenza di un fenomeno di compromissione o deterioramento ambientale (del quale, sia pure con formula verbale non particolarmente puntuale sotto il profilo strettamente lessicale, ha indicato, quanto alla evidenza qualitativa, la sua "significativa" incidenza), ma non ha indicato che lo stesso debba (o possa) essere soggetto necessariamente, per la sua rilevanza penale, ad una procedura di calcolo numerico degli effetti da esso prodotti sulla base di una scala graduata della quale, peraltro, non è data alcuna definizione.

La misurabilità del fenomeno inquinante, quindi, non necessita di una “procedura di calcolo numerico” né di una “scala graduata” (il riferimento implicito al superamento delle CSR sembra chiaro). Ma questi sono proprio i caratteri tipici della misurazione. Negarli, significa svuotare di contenuto la norma e renderne l’applicazione sempre più discrezionale, tanto più se non si accredita una particolare metodo di accertamento e se si afferma che la "misurazione" degli effetti inquinanti non è neppure necessaria, essendo sufficiente che sia potenzialmente possibile.

Per la Suprema Corte, insomma, è sufficiente che esista una generica possibilità di misurare, con criteri oggetti, il grado di deterioramento del sito, ma non è necessario procedere a quelal misurazione per poter esprimere il giudizio di colpevolezza.

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