La legge n. 215 del 17 dicembre 2021, che ha convertito, con modificazioni il D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, ha introdotto significative novità in materia di sicurezza sul lavoro. In particolare è stato introdotto l'obbligo di formazione anche per il datore di lavoro.
Si tratta di una novità di particolare interesse, anche sul piano dogmatico, perchè fino ad oggi, a partire dalla legge 626/81, la competenza del datore di lavoro era presunta per legge, tanto che i corsi per la sicurezza dovevano essere organizzati proprio a "sua cura".
L'impianto normativo era coerente con il (vetusto) disposto dell'articolo 2086 del codice civile che, come noto, definisce l'imprenditore come il "capo dell'impresa".
Sicchè si dava per scontato che il datore di lavoro fosse onnisciente circa il processo produttivo e i rischi ad esso connessi, tanto che è suo dovere primario ed indelegabile individuarli e valutarli.
La realtà moderna, però, ha evidenziato che non sempre il datore di lavoro ha queste capacità, soprattutto nelle aziende di dimensioni medie o grandi. Sovente l'organo apicale si occupa degli aspetti economici-finanziari ed ha una conoscenza del processo produttivo solo parziale o, comunque, non sufficientemente approfondito per consentire la valutazione esaustiva dei rischi connessi. In tutti questi casi l'affiancamento di un consulente con capacità specifiche è ormai la prassi.
Si sarebbe, forse, potuto ragionare sulla possibilità per il datore id lavoro di delegare anche la valutazione dei rischi a soggetti dotati di competenza e capacità.
Invece si è scelta la strada diversa, ossia quella di
prevedere l'obbligo formativo generalizzato anche per il datore di lavoro, stabilendo quanto segue (art. 37, commi 7 e 7bis D.Lgs 81/08):
"7. Il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti ricevono un'adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto previsto dall'accordo di cui al comma 2, secondo periodo. 7-bis. La formazione di cui al comma 7 può essere effettuata anche presso gli organismi paritetici di cui all'articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori."
La violazione di quest'obbligo, che grava sul datore di lavoro, è punita dall’articolo 55 TUS con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.474,21 a 6.388,23 euro.
Lo scopo della riforma è evidentemente quello di agevolare il datore di lavoro nell'adempimento del suo obbligo principale, ossia quello della valutazione dei rischi. Si pensa che una maggiore competenza, acquisita mediante la partecipazione a specifici corsi, possa infatti indirizzare il soggetto apicale verso una migliore consapevolezza dei rischi produttivi e nella scelta delle misure di prevenzione. In tal modo, implicitamente, si apre una prima feritoria nella presunzione di onniscienza del datore di lavoro che costituiva il caposaldo del sistema prevenzionale.
Non mancano, nella riforma, alcuni dubbi.
Poichè in giurisprudenza non vi è assoluta uniformità circa l'individuazione del soggetto al quale attribuire la qualifica di "datore di lavoro", tali perplessità potrebbero anche ricadere sulla validità dell'adempimento dell'obbligo formativo.
Secondo una certa teoria, infatti, tutti gli appartenenti all'organo collegiale possono e devono essere considerati "datori di lavoro" e, perciò, destinatari degli obblighi antifortunistici (come deciso, ad esempio, nella vicenda giudiziaria Montefibre). Se così fosse, dunque, tutti i membri del CDA dovrebbero partecipare ai corsi periodici affinchè sia assolto il dovere imposto dalla nuova normativa.
Altro orientamento, invece, ritiene corretta l'individuazione di un membro del CDA quale datore di lavoro ai fini dell'applicazione delle norme antifortunistiche. Con il che, l'obbligo formativo ricadrebbe soltanto su questo soggetto.
Il rischio, insomma, è quello della disomogeneità applicativa, a partire dagli organi accertatori che, aderendo all'uno piuttosto che all'altro orientamento giurisprudenziale, possono sanzionare diversamente le aziende.
La violazione dell'obbligo formativo, infine, oltre che costituire illecito penale a sè stante può teoricamente rilevare ai fini della colpa in caso di infortunio.
La mancata partecipazione ai corsi formativi potrebbe costituire, infatti, il motivo di una non corretta valutazione del rischio e, di conseguenza, della mancata predisposizione delle adeguate misure di prevenzione.
A bene vedere, in questo caso, il legame eziologico con l'infortunio intercorre più con l'omessa o imprecisa valutazione del rischio che con la mancata partecipazione al corso di formazione. Ma, comunque, il mancato adempimento del dovere formativo, pone il soggetto obbligato in una situazione antigiuridica che, quanto meno ai fini del giudizio di responsabilità, può certamente rilevare.
L'obbligo di partecipazione ai corsi formativi, va ricordato, non incide su quello primario di valutazione dei rischi, che resta immutato nel suo contenuto.
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