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Reati e illeciti amministrativi tributari: per la Corte Costituzionale nessun "ne bis in idem".

Aggiornamento: 22 mag 2023

L'ordinanza della Corte Costituzionale del 9 giugno 2021 n. 136 ha (ancora una volta) eluso il merito della spinosa questione del ne bis in idem tra illeciti amministrativi e reati tributari.

Il doppio binario punitivo (che, in verità, dopo le modifiche introdotte al D.Lgs 231/01 potrebbe ormai essere definito “triplo binario”) resiste dunque alle perplessità dei giudici nazionali.

Come noto, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia Europea, la contemporanea previsione di sanzioni di diversa natura per il medesimo fatto può integrare un caso di doppio giudizio, in contrasto con il divieto di cui all’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

La copiosa giurisprudenza della CEDU ha stabilito la sostanziale equipollenza tra illeciti amministrativi e penali e, dunque, l’operatività del divieto di doppio giudizio, allorché i primi siano connotati da una natura preminentemente afflittiva e punitiva.

In altre parole, le sanzioni che perseguono lo scopo di punizione, comunque denominate, devono essere trattate e considerate alla stregua di reati e, come tali, una volta irrogate in via definitiva, costituiscono un ostacolo al giudizio penale.

Non sono queste le uniche condizioni che la giurisprudenza europea ha stabilito per l’operatività del divieto di doppio giudizio, essendo necessario anche che il doppio binario punitivo sia prevedibile per il trasgressore, sia giustificato da un interesse generale che non renda la punizione complessiva ingiusta perché troppo gravosa e siano previste regole di coordinamento tra i diversi procedimenti.

La materia fiscale è garantita da una complessa ed articolata legislazione che prevede sanzioni amministrative e penali, sicché l’insorgenza di questioni sul divieto di doppio giudizio sono inevitabili.

Prendiamo, ad esempio, le fattispecie penali di omessa dichiarazione punite dal D.Lgs 74/00 (il corpo normativo di base del diritto penale tributario) per le quali sono previste anche le sanzioni amministrative ai sensi dell'articolo 1 del D.Lgs 471/97.

Stante la sovrapponibilità delle fattispecie, è lecito porsi il quesito circa la sussistenza di un possibile doppio giudizio, in violazione delle regole della CEDU.

La Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sul tema del possibile conflitto tra sanzioni amministrative e penali, ha sostanzialmente eluso la questione con declaratorie d’inammissibilità per indeterminatezza delle questioni che le sono state poste dai giudici remittenti oppure per la mancanza della prova del passaggio in giudicato del provvedimento che aveva irrogato la sanzione amministrativa.

Tuttavia passaggio della motivazione, seppur breve, sembra essere molto interessante.

Il Giudice delle leggi, infatti, ha evidenziato la necessità di chiarire, da parte del giudice remittente, “perché le sanzioni amministrative pecuniarie e la sanzione penale detentiva perseguirebbero la stessa finalità”.

Con il che si evidenzia che la natura afflittiva dei rimedi amministrativi, requisito primo ed essenziale ai fini dell’operatività del divieto di doppio giudizio, non è affatto scontata ma che, anzi, dovrebbe essere spiegata con chiarezza.

Non solo: l’ordinanza rammenta che la punibilità dei reati tributari, in molti casi, è subordinata al superamento di specifiche soglie di evasione delle imposte e che esistono norme “interne ed esterne” al corpo normativo del D.Lgs 74/00 che raccordano i rapporti tra i rimedi amministrativi e quelli penali. L’affermazione si poggia a quanto disposto dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci, che, appunto, ha sancito la sostanziale legittimità del doppio binario punitivo a condizione che, tra le altre cose, la normativa nazionale “contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti”.

La Corte mette insomma le mani avanti e pone l’accento sulle insidie della complicata materia con un arresto potenzialmente dirimente: è tutto da verificare che il divieto del doppio giudizio possa operare.

Qualche perplessità è lecita; verrebbe da chiedersi quale altra funzione potrebbero svolgere le sanzioni amministrative in alternativa o aggiunta a quelle penali.

In altra decisione, anch’essa reiettiva della questione di legittimità costituzionale, la Corte Costituzionale (sentenza 222/2019) ha fornito una parziale risposta al quesito osservando che: “la minaccia di una sanzione detentiva per l’evasione di importi IVA annui superiori – oggi – a 250.000 euro, in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria calcolata in misura percentuale rispetto all’importo evaso, (può) perseguire i legittimi scopi di rafforzare l’effetto deterrente spiegato dalla mera previsione di quest’ultima, di esprimere la ferma riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei, nonché di assicurare ex post l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell’amministrazione grazie ai meccanismi premiali connessi all’integrale saldo del debito tributario.”

Ma anche alla luce di questa osservazione, non sembra però così semplice marcare una netta linea distintiva tra le finalità e le conseguenze delle sanzioni amministrative e quelle penali.

In definitiva resta confermata la volontà della Corte Costituzionale di salvaguardare il sistema del “doppio binario” punitivo in materia tributaria.

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