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  • Immagine del redattoreDCZ Penalisti Associati

Nei cantieri spetta al D.L. garantire l'attuazione delle misure di sicurezza.

Con la sentenza Sez. IV, 25 giugno 2019, n. 27871, la Corte di Cassazione penale ha chiarito che anche al cospetto di una corretta e puntuale valutazione dei rischi il datore di lavoro può incorrere in responsabilità penale per un infortunio sul lavoro.

Nel caso specifico, l’evento mortale si era verificato all’interno di un cantiere ferroviario, a danno di un macchinista che, sceso dal proprio mezzo, era stato investito da un treno che circolava sul binario attiguo. Per tale evento è stato condannato il datore di lavoro presso il quale era stato distaccato l’infortunato, al quale si è contestato di non aver adeguatamente formato ed informato i lavoratori sui rischi del cantiere.

Il principio enunciato dalla Corte si segnala per il suo rigore: la predisposizione di documenti formalmente corretti, anche ineccepibili, non costituisce una sufficiente garanzia per andare immuni da responsabilità.

Nel caso concreto il POS e il PSC contenevano regole e cautele antinfortunistiche assolutamente idonee e corrette in relazione al rischio verificatosi.

Ma, hanno spiegato i giudici di legittimità, questo non è sufficiente, perché il dovere cautelare del datore di lavoro non si ferma alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure cautelari; vi è anche l’obbligo di attuazione di quelle regole.

In quel caso gli si è contestato di non aver resi edotti i lavoratori dell'obbligo di intraprendere l'attività lavorativa solo dopo aver ricevuto rassicurazioni circa la completa interruzione del traffico ferroviario sia sul binario pari, sia su quello dispari.

La cautela, insomma, pur correttamente individuata nei documenti aziendali, non era però stata correttamente attuata.

La sentenza, molto rigorosa, presta il fianco ad alcune osservazioni critiche.

Nell’ambito dell’organizzazione aziendale il compito di assicurare l’applicazione delle regole cautelari compete a soggetti diversi dal datore di lavoro, vale a dire ai dirigenti e ai preposti. Evidentemente tale osservazione non può valere per le prassi lavorative contra legem che siano tollerate dai vertici aziendali, perché in quel caso si tratta comportamenti diffusi in palese violazione delle regole cautelari, alle quali è doveroso che il datore di lavoro ponga rimedio.

Ma quando il comportamento del lavoratore sia isolato o in ogni caso, non riconducibile a prassi lavorative eccentriche, farne carico ai vertici aziendali, soprattutto quando si tratta di imprese di grandi dimensioni con strutture organizzative molto articolate, pare eccessivamente severo.

È senza dubbio opinabile quanto affermato nella sentenza, cioè che il datore di lavoro debba fornire ai lavoratori le istruzioni relative alle modalità di espletamento delle singole mansioni. Anche il riferimento all’articolo 18 del TUS, a mente del quale vi è obbligo del datore di lavoro di richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione, non sembra pertinente al caso concreto.

La norma va intesa nel senso che spetta al datore di lavoro di predisporre un sistema organizzato dal quale esigere il rispetto delle norme antinfortunistiche, ma certamente (salvo che per le piccole imprese) non può essere correttamente interpretata nel senso che ai vertici aziendali spetti verificare, caso per caso, se le suddette regole sono osservate.

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